El Sass de Preja Buia

Quando si è nella morsa del nervosismo, dovuto ai problemi quotidiani e alla monotonia di persone che vorresti fossero estranee piuttosto che familiari, l'unica cosa da fare è prendere la macchina, partire e lasciarsi cullare dal rombo del motore che sai ti porterà verso una nuova ed entusiasmante destinazione. 

Il cielo uggioso e velato di una palpabile nebbia ci ha accompagnati fin a Sesto Calende, paese che si affaccia al lago Maggiore. 
Il suo vero punto di forza, però, è un bosco situato nella zona nord. 
Raramente frequentato.
Una passeggiata all'aria pura è quello che ci vuole per stemperare le angosce, mentre il profumo dell'erba bagnata di rugiada e il crepitare delle foglie secche sotto i nostri piedi hanno un nonsochè di rilassante. 
Le mille sfumature, dal verde al giallo, dall'arancio al rosso-marrone, mostrano l'alternarsi amichevole delle stagioni, e con esse il moto perpetuo della vita.
Superata di poche centinaia di metri la piccola chiesetta di San Vincenzo, è lì ad attenderci in tutta la sua mole il Sass de Preja Buia, un gigantesco masso erratico risalente all'Era Quaternaria. 
Lo ammiriamo al colmo dello stupore, e non esitiamo ad accarezzarlo quasi a volerlo rassicurare sulle nostre buone intenzioni. 
Le imbrattate di qualche cretino lo hanno scalfito nell'aspetto, ma non nell'energia che emana.
Restiamo in silenzio per non rovinare la sacralità del momento e ci sediamo intorno a lui.
Chiudendo gli occhi si può persino ascoltare la sua voce, che imponente, ci racconta la sua bellissima storia millenaria.

"Io nasco durante l'ultima glaciazione del Neozoico. I ghiacciai, sciogliendosi, trascinarono a valle detriti e sassi che accumulandosi mi formarono. 
Su di me si dicono molte cose. Ad esempio che avrei rappresentato nell'epoca preistorica un altare sacrificale. Gli studiosi l'hanno giustificato vedendo incisi i miei numerosi petroglifi, simbolici e culturali. 
Come me ci sono altri massi, sapete? c'è quel mio amico laggiù, e poi altri, ma sono in altri paesi.
Spesso, data la mia pachidermica grandezza, i più sognatori si son sbizzarriti a tramandare tante leggende sul mio conto. La più incredibile narra di un pescatore del luogo che si innamorò follemente di Venere, scatenando l'ira di Giove. Il marito della Dea per punirlo lo tramutò in un drago. 
Un giorno Venere, andata dall'amante e trovatolo in quelle condizioni, lo incitò a incendiare tutto il paese. Le fiamme divamparono e raggiunsero la casa coniugale dove vivevano la moglie e i suoi figli, che invano cercarono di scappare. Il fuoco li carbonizzò nell'esatto istante in cui la madre tentò di proteggerli abbracciandoli, così come fa la chioccia con i suoi pulcini. 
Da allora io che nella forma ricordo quella sagoma, ho assunto dei riflessi dorati e bronzei e sono diventato il simbolo dell'amore materno".
Il venticello serale all'improvviso affievolisce la voce del masso, spingendola sempre più lontano.
Capiamo allora che il tutto potrebbe essere stato frutto della fantasia. 
Ma anche se non abbiamo udito la sua storia con le nostre orecchie, di sicuro ne custodiremo la magia nel nostro cuore.   

    

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