La Signora di Stavoren

la fame puerile di fiabe e leggende spesso ci porta a vagabondare alla cieca, in cerca di una chicca che ci faccia arrestare di colpo la macchina e urlare di gioia per l'inaspettata scoperta. A volte può succede di percorrere pochi km, altre volte non capita nemmeno di fermarci se non per passare la notte, e siamo soli ad attraversare ciò che natura ed umanità hanno saputo regalarci, da veri amanti dell'on the road.
Stiamo esplorando la regione più settentrionale dell'Olanda, la Frisia, famosa per il suo carattere indipendente e testardo che l'ha sempre resa autonoma dal resto del Paese; a partire dalla lingua, un particolare dialetto parlato ed usato per scrivere i nomi delle varie città, alla bandiera dai colori bianco, rosso e blu connotata dal simbolo di un cuore, o meglio da quello che di primo acchito potrebbe sembrare un cuore, ma che in realtà rappresenta la forma di una foglia di ninfea, fiore acquatico per eccellenza. La stessa bandiera che i cittadini locali sventolano orgogliosamente per ricordare quanto la Frisia sia autentica e genuina, e sempre pronta a reagire alle difficoltà con tenacia e dedizione.

Per oltre 100 km i nostri occhi non incrociano altro che sconfinate pianure, canali d'acqua, e qualche microscopico borgo residenziale, un toccasana per la salute e l'umore, migliorato dalla speciale visione di una miriade di mucche "frisoni" al pascolo, quelle tipiche a macchie bianche e nere per intenderci, e di una fitta rete di percorsi ciclo-pedonali in grado di collegare tutti i centri abitati, cosa che invidiamo molto e che in Italia manca..

A lungo andare però non riusciamo a raccapezzarci, e ignorando la presenza di villaggi particolari in cui fermarci, ci lanciamo diretti verso l'hotel prenotato, il De Vrouwe van Stavoren, evidente che sarebbe stata l'unica attrazione della giornata.
Sopraggiungiamo a Stavoren sotto nuvole gonfie di pioggia e un vento frizzante proveniente dal mare, adatto per godersi l'orizzonte in modo alternativo senza l'ansia di doversi spostare ancora.

Ci concediamo un pranzo veloce al take away cittadino e circumnavighiamo piano piano il lago, ex porto in epoca medievale, scrutati dagli sguardi increduli di skipper e pescatori. Non centra la condizione fisica, centra il fatto che stiamo lì come semplici turisti a suscitare curiosità nei passanti, in una zona "povera" frequentata al massimo da fanatici di sport d'acqua.
Ci mettiamo quindi a fotografare un po' di imbarcazioni e alcune case in legno e pietra scura d'Olanda, per mascherare l'imbarazzo di sentirci catapultati li per sbaglio.. e optiamo per un giro in centro.
Il cuore delle attività commerciali non marittime a Stavoren si concentra in un paio di vie e qualche negozio, ma nel giro di 10 min si è completamente visto tutto e in men che non si dica si fa ritorno al piccolo molo.
E' proprio mentre ci stiamo domandando cosa in realtà si nasconda nel paese, e per quale motivo sia cosi desolato e chiuso al mondo, che la statua di una dama colpisce la nostra attenzione.
Non che si sia materializzata all'improvviso, l'avevamo già adocchiata al nostro arrivo, però non immaginavamo fosse importante, ed invece, al pari di ogni scultura commemorativa incontrata nei nostri viaggi, anche questa ha una storia da raccontare; la leggendaria storia di Stavoren.
Ci fu un tempo in cui Stavoren era una fiorente cittadina, dedita ai commerci marittimi. Al porto si contavano 70 grandi navi che viaggiavano in ogni direzione: Francia, Inghilterra, oriente, ma a dispetto della prosperità economica, i suoi abitanti non erano felici.
Vivevano tutti quanti all'ombra di un'arcigna armatrice; tanto ricca quanto odiosa, che ogni bambino temeva di incontrare per la strada.
Durante i giochi in strada nessuno osava avvicinarsi alla sua casa. Se una bambina finiva per saltare su uno dei gradini d'ingresso, la dama appariva dietro le imposte con lo sguardo torvo, e le mani ossute adornate da gioielli d'oro massiccio.
"Via di qui" gridava minacciosa. E i bambini fuggivano spaventati, emettendo versi acuti come i gabbiani di mare.
Era questo anche un segnale per annunciare il ritorno di una qualche nave nel molo.
Un giorno, un ragazzo che si divertiva ad arrampicarsi sui piloni, vide una nave in lontananza e richiamò all'ordine fabbri, bottai, carpentieri e massaie che speravano di ricavare doni e leccornie dalle imbarcazioni rientranti.
"Che nave sarà? un barcone da carico o un peschereccio?" ipotizzavano impazienti.
Ma con l'avvicinarsi della nave, scoprirono che si trattava del Buona Speranza, il veliero della Signora di Stavoren.
Un grido di giubilo si levò dalla banchina. Uomini, donne e bambini agitavano i loro fazzoletti in segno di festa. 
Il capitano, dal ponte del vascello, li guardava sorridente, pensando alla contentezza della dama, che proprio lei lo mandò in giro per i mari alla ricerca del tesoro più prezioso del mondo. 
Per quattordici mesi non smise di saccheggiare porti stranieri; stringendo gioielli favolosi, toccando sete fruscianti di tutti i colori dell'arcobaleno, odorando le spezie più rare e accarezzando le piume di uccelli mai veduti prima d'allora, ma ogni volta esitava, convinto ci fosse al mondo qualcosa di ancor più prezioso. 
Quando alla fin l'ebbe trovato, lo conservò nella stiva, ed ora era lì per la soddisfazione della sua Signora. 
La folla scalpitante di colpo si aprì, e formando due ali fece passare la dama, per la prima volta uscita dalla sua tetra casa in preda al desiderio di ricevere subito il suo tesoro. 
Il capitano, serio in volto, le raccontò di tutti i viaggi fatti, delle gemme trafugate, ma poi abbandonate, fino alla conquista del tesoro perfetto: un traboccante carico di chicchi di grano che il sole fa brillare come oro. 
D'un baleno la Signora di Stavoren alzò la mano, con il dito puntato verso il mare e un fare imperioso: "L'hai voluto caricare? ora buttalo in mare!" ordinò al capitano. 
Il capitano addolorato ed infuriato non poteva replicare, perciò guardò tutti; dal primo all'ultimo. Guardò le donne che nei rigidi mesi invernali non potevano sfamare le famiglie se non con del pesce salato. Guardò gli uomini a cui solo il mare procurava lavoro, e i gabbiani, che avrebbe voluto veder sfrecciare sulla testa di quella insopportabile strega. Ma nessuno poteva far niente, e nulla stava per accadere. 
Il capitanò allora svuotò i sacchi di grano nel mare. L'acqua, d'un azzurro profondo, era ora attraversata da milioni e milioni di chicchi dorati che giravano vorticosamente verso il fondo. 
Un vecchio pescatore, scosso dalla rabbia, si fece avanti e mise in guardia la dama: "Quel che stiamo buttando via vale molto più dell'oro!" Ma la Signora di Stavoren pretese il silenzio, convinta che solo lei sapesse il vero valore dell'oro. Ne aveva la casa piena, i vestiti e le 70 navi. 
Il pescatore le disse che nulla valeva quell'oro, se un giorno il mare, che stava dalla loro parte, si fosse ribellato a quel gesto folle, e lei avrebbe mendicato alla povera gente un pezzo di pane. 
La Signora di Stavoren, indispettita, si levò un grosso anello dal dito con un rubino incastonato e lo gettò in acqua, sfidando il mare a riportarglielo prima che lei si fosse abbassata a chiedere aiuto. Una cosa impossibile.

Trascorse l'estate breve e piovosa senza che i mulini ebbero nulla da macinare, poi arrivarono le tempeste ed il glaciale inverno. Il mare diventò un enorme distesa bianca e nessun bambino giocava sui portoni delle case. 

La Signora di Stavoren se ne stava chiusa nella sua dimora, sognando le sue navi piene zeppe di gioielli..

Arrivò di nuovo la primavera, ma stranamente non portava con sè lo stridio dei gabbiani né il vociare allegro dei fanciulli. Solo un giovane marinaio osò bussare ad una porta: era quella della Signora. 

Le portava in regalo un grossissimo pesce verdazzurro perchè al mercato non c'era rimasto più nessuno a cui venderlo. 
La dama fissava il pesce dal buio della cucina e con l'aiuto di un coltello lo sventrò. Dalla pancia estrasse un anello. L'anello col rubino che il mare le aveva restituito. 
Terrorizzata dalla profezia del vecchio pescatore, uscì di casa, e si accorse che era sola. Non un suono, un rumore o una canzone.
Raggiunse quindi un marinaio che sconsolato la informò del naufragio di tutte le sue navi. Non vi era più possibilità di far ritorno al porto; il grano gettato a mare mesi prima aveva lentamente prosciugato l'acqua ostruendone l'ingresso. 
Quasi tutte le persone del paese se n'erano andate verso altri villaggi.
Soltanto poveri pescatori e la Signora erano rimasti. 

Ogni giorno, da quel momento, le teste grigie dei poveri pescatori si voltavano quando vedevano passare una curva vecchietta, diretta alla diga, dove ancora crescevano pianticelle di frumento, ma con pochissimi chicchi. E allora di sera la vecchietta bussava a tutte le porte chiedendo la carità di un po' di cibo. La si sentiva arrivare da lontano tra i lamenti suoi e quelli della sua cigolante carriola. 

Adesso i vecchi pescatori la guardavano in volto. Era lei: la Signora di Stavoren.    

Dopo aver letto questa fiaba, seduti esattamente sul punto in cui la vecchia Signora impartiva gli ordini, credeteci, ci è venuto un groppo in gola. Il mare fa questo effetto a prescindere, ma basta davvero un piccolo dettaglio ad inciderti per sempre un posto nella memoria. 
STAVOREN IN PILLOLE
- Periodo migliore: luglio-agosto
- durata media: un'ora
- difficoltà: 1/5
- accessibilità: un villaggio che si adatta alle esigenze di tutti
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