Nei regni di Oberweser


Biancaneve e i sette nani e Il Gatto con gli stivali.
...Già non ci sembrava possibile che un solo villaggio potesse accettare due fiabe diverse, ma che addirittura il navigatore ci avesse portato in mezzo al nulla, sembrava una situazione del tutto grottesca.

Invece è andata proprio cosi: inserendo Oberweser sul nostro "Tom" ci siamo ritrovati a percorrere stradine tortuose lungo dei pendii collinari fino ad arrivare su una strada per fortuna rettilinea che la voce robotica chiamava centro.

"Avete raggiunto la destinazione". Accostandoci a bordo pista con le quattro frecce, stra convinti che una serie di fitti alberi non potessero essere il centro storico di Oberweser, ci siamo guardati intorno con la stessa faccia con cui Messi guarderebbe sua madre se gli domandasse di pulire casa in attesa di ospiti immaginari.
Questo succedeva ormai 3 anni fa. Ad oggi tutto è cambiato; macchina e navigatore in primis. Soltanto la voglia di ripercorrere la Strada delle fiabe è rimasta immutata. Certo, magari aggiungendo paesi nuovi per fare nuove scoperte, ma anche rivedere gli stessi non fa schifo. Oberweser su tutti.

E cosi dopo una guida interminabile di 260 km da Brema (anch'essa visitata per la seconda volta), a causa di lavori in autostrada, arriviamo a Oberweser. O meglio, nella zona chiamata Oberweser, perchè, grazie a Dio, il nuovo navigatore c'ha svelato il misterioso mistero, indirizzandoci precisamente a Oberweser-Oedelsheim.

In pratica; Oberweser, che letteralmente significa "sopra il fiume Weser", si divide in 5 distretti divenuti a tutti gli effetti dei villaggi a sé stanti. Oberweser-Oedelsheim e Oberweser-Gieselwerder pare siano i due principali, nonchè i regni del Gatto con gli stivali e Biancaneve e i sette nani e noi siamo stati portati al primo di questi.

Vi comunico che avere l'auto è una vera manna. Sebbene sia uno sbattimento macinarsi tanti km e ricercare parcheggi, non regge il confronto con i mezzi pubblici, a nostro avviso difficili da consultare, non sempre disponibili nei microscopici borghi e che costringono poi ad orientarsi a piedi. Quindi al di là della "fortuna" nostra di possedere il cartellino disabili, la macchina si può lasciare e riprendere quando si vuole e non obbliga a seguire orari prestabiliti.
A Oedelsheim, purtroppo non esistono parcheggi pubblici, per tanto vi suggeriamo di lasciare l'auto a bordo strada (nelle strisce è ovvio), oppure nel minuscolo spazio sterrato a fianco dell'unico museo presente in Gottinger strasse.
L'esclamazione: "Oooh che bella!" non tarda ad uscir di bocca, poichè a distanza di 10 m, ma ben visibile fin da quando si entra nel paese, c'è la grande scultura del Gatto con gli stivali! Ciò che stavamo cercando.
Tutta intagliata nel legno e rifinita nei minimi dettagli, il gattone è più alto di un uomo di media statura e anche se privo di colori è facile riconoscere l'abbigliamento da cadetto; il cappello con pennacchio, il bastone simile ad uno spadino e i classici stivali. La statua, fatta d'un legno resistente al vento e alle intemperie è comunque ingabbiata sotto un tettoia protettiva.
Un mugnaio, venuto a morte, non lasciò altri beni ai suoi tre figliuoli che aveva, se non il suo mulino, il suo asino e il suo gatto.
Così le divisioni furono presto fatte: né ci fu bisogno dell’avvocato e del notaro; i quali, com’è naturale, si sarebbero mangiata in un boccone tutt’intera la piccola eredità.
Il maggiore ebbe il mulino.
Il secondo, l’asino.
E il minore dei fratelli ebbe solamente il gatto.
Quest’ultimo non sapeva darsi pace, per essergli toccata una parte così meschina.

“I miei fratelli”, faceva egli a dire, “potranno tirarsi avanti onestamente, menando vita in comune: ma quanto a me, quando avrò mangiato il mio gatto, e fattomi un manicotto della sua pelle, bisognerà che mi rassegni a morir di fame.”

Il gatto, che sentiva questi discorsi, e faceva finta di non darsene per inteso, gli disse con viso serio e tranquillo:
“Non vi date alla disperazione, padron mio! Voi non dovete far altro che trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali per andare nel bosco; e dopo vi farò vedere che nella parte che vi è toccata, non siete stato trattato tanto male quanto forse credete”.

Sebbene il padrone del gatto non pigliasse queste parole per moneta contante, a ogni modo gli aveva visto fare tanti giuochi di destrezza nel prendere i topi, or col mettersi penzoloni, attaccato per i piedi, or col fare il morto, nascosto dentro la farina, che finì coll’aver qualche speranza di trovare in lui un po’ di aiuto nelle sue miserie.
Appena il gatto ebbe ciò che voleva, s’infilò bravamente gli stivali, e mettendosi il sacco al collo, prese le corde colle zampe davanti e se ne andò in una conigliera, dove c’erano moltissimi conigli.
Pose dentro al sacco un po’ di crusca e della cicerbita: e sdraiandosi per terra come se fosse morto, aspettò che qualche giovine coniglio, ancora novizio dei chiapperelli del mondo, venisse a ficcarsi nel sacco per la gola di mangiare la roba che c’era dentro.

Appena si fu sdraiato, ebbe subito la grazia. Eccoti un coniglio, giovane d’anni e di giudizio, che entrò dentro al sacco: e il bravo gatto, tirando subito la funicella, lo prese e l’uccise senza pietà né misericordia.

Tutto glorioso della preda fatta andò dal Re, e chiese di parlargli.
Lo fecero salire nei quartieri del Re, dove entrato che fu fece una gran riverenza al Re, e gli disse:
“Ecco, Sire, un coniglio di conigliera che il signor marchese di Carabà”, era il nome che gli era piaciuto di dare al suo padrone, “mi ha incaricato di presentarvi da parte sua”.
“Di’ al tuo padrone” rispose il Re “che lo ringrazio e che mi ha fatto un vero regalo.”
Un’altra volta andò a nascondersi fra il grano, tenendo sempre il suo sacco aperto; e appena ci furono entrate dentro due pernici, tirò la corda e le acchiappò tutte e due.
Corse quindi a presentarle al Re, come aveva fatto per il coniglio di conigliera. Il Re gradì moltissimo anche le due pernici e gli fece dare la mancia.

Il gatto in questo modo continuò per due o tre mesi a portare di tanto in tanto ai Re la selvaggina della caccia del suo padrone.

Un giorno avendo saputo che il Re doveva recarsi a passeggiare lungo la riva del fiume insieme alla sua figlia, la più bella Principessa del mondo, disse al suo padrone:
“Se date retta a un mio consiglio, la vostra fortuna è fatta: voi dovete andare a bagnarvi nel fiume, e precisamente nel posto che vi dirò io: quanto al resto, lasciate fare a me”.
Il marchese di Carabà fece tutto quello che gli consigliò il suo gatto, senza sapere a che cosa gli avrebbe potuto giovare.
Mentre egli si bagnava, il Re passò di là; e il gatto si messe a gridare con quanta ne aveva in gola:
“Aiuto, aiuto! affoga il marchese di Carabà”.
A queste grida, il Re messe il capo fuori dallo sportello della carrozza e, riconosciuto il gatto, che tante volte gli aveva portato la selvaggina, ordinò alle guardie che corressero subito in aiuto del marchese di Carabà.
Intanto che tiravano su, fuori dell’acqua, il povero Marchese, il gatto avvicinandosi alla carrozza raccontò al Re che mentre il suo padrone si bagnava, i ladri erano venuti a portargli via i suoi vestiti, sebbene avesse gridato al ladro con tutta la forza dei polmoni. Il furbo trincato aveva nascosto i panni sotto un pietrone.

Il Re diè ordine subito agli ufficiali della sua guardaroba di andare a prendere uno dei più sfarzosi vestiari per il marchese di Carabà.
Il Re gli usò mille carezze, e siccome l’abito che gli avevano portato in quel momento faceva spiccare i pregi della sua persona (perché era bello e benissimo fatto), la Principessa lo trovò simpatico e di suo genio: e bastarono poche occhiate del marchese di Carabà, molto rispettose ma abbastanza tenere, perché ella ne rimanesse innamorata cotta.

Volle il Re che salisse nella sua carrozza, e facesse la passeggiata con essi.
Il gatto, contentissimo di vedere che il suo disegno cominciava a pigliar colore, s’avviò avanti; e avendo incontrato dei contadini, che segavano, disse loro:
“Buona gente che segate il fieno, se non dite al Re che il prato segato da voi appartiene al marchese di Carabà, sarete tutti affettati fini fini come carne da far polpette”.
Il Re infatti domandò ai segatori di chi fosse il prato che segavano.
“» del marchese di Carabà”, dissero tutti a una voce perché la minaccia del gatto li aveva impauriti.
“Voi avete di bei possessi”, disse il Re al marchese di Carabà.
“Lo vedete da voi, Sire”, rispose il Marchese.
“Questa è una prateria, che non c’è anno che non mi dia una raccolta abbondantissima.”

Il bravo gatto, che faceva sempre da battistrada, incontrò dei mietitori, e disse loro:
“Buona gente che segate il grano, se non direte che tutto questo grano appartiene al signor marchese di Carabà, sarete stritolati fini fini come carne da far polpette”.
Il Re, che passò pochi minuti dopo, volle sapere a chi appartenesse tutto il grano che vedeva.
“» del signor marchese di Carabà”, risposero i mietitori.

E il Re se ne rallegrò col Marchese.
Il gatto, che trottava sempre avanti la carrozza, ripeteva sempre le medesime cose a tutti quelli che incontrava lungo la strada; e il Re rimaneva meravigliato dei grandi possessi del signor marchese di Carabà.

Finalmente il gatto arrivò a un bel castello, di cui era padrone un orco, il più ricco che si fosse mai veduto; perché tutte le terre, che il Re aveva attraversate, dipendevano da questo castello.
Il gatto s’ingegnò di sapere chi era quest’uomo, e che cosa sapesse fare: e domandò di potergli parlare, dicendo che gli sarebbe parso sconvenienza passare così accosto al suo castello senza rendergli omaggio e riverenza.
L’orco l’accolse con tutta quella cortesia che può avere un orco; e gli offrì da riposarsi.
“Mi hanno assicurato”, disse il gatto, “che voi avete la virtù di potervi cambiare in ogni specie d’animali; e che vi potete, per dirne una, trasformare in leone e in elefante.”
“Verissimo!”, rispose l’orco bruscamente, “e per darvene una prova, mi vedrete diventare un leone.”
Il gatto fu così spaventato dal vedersi dinanzi agli occhi un leone, che s’arrampicò subito su per le grondaie, ma non senza fatica e pericolo, a cagione dei suoi stivali, che non erano buoni a nulla per camminare sulle grondaie de’ tetti.
Di lì a poco, quando il gatto si avvide che l’orco aveva ripresa la sua forma di prima, calò a basso e confessò di avere avuto una gran paura.
“Mi hanno per di più assicurato”, disse il gatto, “ma questa mi par troppo grossa e non la posso bere, che voi avete anche la virtù di prendere la forma dei più piccoli animali; come sarebbe a dire, di cambiarvi, per esempio, in un topo o in una talpa: ma anche queste son cose, lasciate che ve lo ripeta, che mi paiono sogni dell’altro mondo!”
“Sogni?”, disse l’orco. “Ora vi farò veder io!…”
E nel dir così, si cangiò in sorcio, e si messe a correre per la stanza.
Ma il gatto, lesto come un baleno, gli s’avventò addosso e lo mangiò.

Intanto il Re che, passando da quella parte, vide il bel castello dell’orco, volle entrarvi.
Il gatto, che sentì il rumore della carrozza che passava sul ponte-levatoio del castello, corse incontro al Re e gli disse:
“Vostra Maestà sia la benvenuta in questo castello del signor marchese di Carabà”.
“Come! signor Marchese!”, esclamò il Re. “Anche questo castello è vostro? Non c’è nulla di più bello di questo palazzo e delle fabbriche che lo circondano; visitiamolo all’interno, se non vi scomoda.”

Il Marchese dette la mano alla Principessa; e seguendo il Re, che era salito il primo, entrarono in una gran sala, dove trovarono imbandita una magnifica merenda, che l’orco aveva fatta preparare per certi suoi amici che dovevano venire a trovarlo, ma che non avevano ardito di entrar nel castello, perché sapevano che c’era il Re.

Il Re, contento da non potersi dire, delle belle doti del marchese di Carabà, al pari della sua figlia, che n’era pazza, e vedendo i grandi possessi che aveva, dopo aver vuotato quattro o cinque bicchieri, gli disse:
“Signor Marchese! se volete diventare mio genero, non sta che a voi”.
Il marchese, con mille reverenze, gradì l’alto onore fattogli dal Re, e il giorno dopo sposò la Principessa.
Il gatto diventò gran signore, e se seguitò a dar la caccia ai topi, lo fece unicamente per passatempo.

Come bambini restiamo in contemplazione della scultura quel tanto che basta per immortalarla e proprio per non andarcene via subito, consapevoli che il villaggio non avrebbe offerto nient'altro.

Intorno, però, si ergono case TUTTE a graticcio e sono un vero spettacolo per gli occhi
L'esperienza ci insegna che in tanti comuni tedeschi, specie i più piccoli, le abitazioni sono meravigliose per via della mentalità dei cittadini locali, che ritengono sia necessario esibire case più eleganti esternamente che nel loro interno, tanto per dire.
Anzichè passeggiare scarichiamo dall'auto la tagabike, altro mezzo nuovo rispetto a 3 anni fa, e benedicendo pure lei, esploriamo in maniera facile l'intero villaggio, scattando foto a ripetizione a scorci deliziosi.
Il "miglio a graticcio", cosi vien soprannominata la strada che porta ad esplorare il paese, scorre ahinoi troppo velocemente, con il solo tempo d'innamorarci delle casette restaurate e gestite con passione.

Ad un tratto notiamo tante indicazioni raffiguranti il Gatto con gli stivali che indicano una parte in lieve discesa. La seguiamo e scopriamo che proprio dalle sponde del fiume Weser, che ci rilassa al sol vederlo, si snoda una pista ciclabile asfaltata.
Inaspettatamente abbiamo trovato una scusa più che valida per prolungare la nostra permanenza ad Oedelsheim. Un giro in bici non si rifiuta mai, a prescindere, se poi il percorso non fa che lambire fiumi, boschi e campi di grano dorati come non mai, il giro è un dovere.
Passino i prati, il sole caldo e gli sconfinati campi, ma degli alberi che han tutta l'aria d'essere dei meli, ci insospettiscono.. saranno un segnale per la fantomatica fiaba di Biancaneve? In fondo non abbiamo trovato nulla ad Oedelsheim, anche se della fiaba abbiamo ampiamente parlato in questo resoconto "le macabre verità di Biancaneve"
E' assodato che i fratelli Grimm per stilare la fiaba si ingegnarono combinando indizi provenienti da Bad Wildungen, ove svetta il castello della contessa Margaretha Von Waldeck e circolano alcune credenze popolari, e da Lorh Am Main, città in cui risiedeva "la matrigna" tra specchi e servi cacciatori, in che maniera può centrare Oedelsheim?
Presto detto. Dopo una tranquilla pedalata di 5 km controvento, intravediamo un agglomerato di case e un cartello: siamo a Oberweser - Gieselwerder!

Ora ci siamo. I distretti di Oberweser distano si e no 4-5 km l'uno dall'altro, ma se non avessimo avuto la bicicletta, oltre che la macchina, non avremmo capito come raggiungere Oberweser in generale ne tanto meno i suoi quartieri nello specifico. Inutile negarlo.

Di primo acchito Gieselwerder è ancor più piccolo di Oedelsheim, ma costruito più da centro presentando un alimentare e una piazzetta in cui rifocillarsi alla buona.

Penso comunque che la Rathaus locale sia di una bellezza fuori dal comune, scusate il gioco di parole. Non per il suo prestigioso stile, tutto sommato non è che una casa a graticcio normale, bensì per la location. Da un arco in pietra si accede ad una corte adorna di aiuole e fiori d'ogni colore, priva di gente e altre distrazioni.
Tutto è preciso e pulito, compreso il masso commemorativo di poco fuori l'arco in pietra, sulla destra: incisi vi sono i volti di Biancaneve e i sette nani.

Dimentichiamo e dimenticatevi i nomi dati loro da Walt Disney, dalla scultura un po' particolare apprendiamo i veri volti dei nani e attraverso uno scritto lasciato dall'artista, Hofgeismar Wienhold persino i loro nomi in tedesco: Hans, Peter, Paul, Josef, Bernd, Udo e Fritz.
Fatta eccezione della statua, però, a Gieselwerder non scoviamo altro d'interessante, ma a sto punto è chiara la funzione del borgo. Nella mente dei fratelli Grimm la casa a graticcio solitaria, divenuta nei secoli Rathaus e i meli sparsi a macchie di leopardo, completavano con la perfetta cornice le tragiche vicende avvenute a Bad Wildungen e Lohr Am Main.

Una fiaba ben studiata, che al giorno d'oggi non sappiamo quanti siano in grado di scrivere, ma soprattutto di riportare alla luce...


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