Double face Bojnice


L'escursione che mi accingo a raccontarvi è un chiaro esempio dell'ambigua natura della Slovacchia, o come vi abbiamo accennato nell'articolo su Trencin, della multipla varietà dei suoi gusti, se vogliamo paragonarla ad una torta. Da un lato la dolcezza di un posto oggettivamente splendido, dall'altro l'amarezza di una scintilla mai scoccata.

Dopo Cicmany, quindi, ci prepariamo per andare a Bojnice, una piccola cittadina termale famosa per l'omonimo castello, inserito di diritto nel circuito dei castelli più belli d'Europa.

Il tragitto non ci pesa considerata la breve distanza tra i due suddetti villaggi, 36 km al massimo, eppure il tempo di percorrenza non rispecchia la giusta proporzione, a causa di una rete autostradale del tutto assente.
Ci tocca cosi attraversare entrambi i versanti dei monti Strazov, su una strada provinciale zigzagante e simil groviera che al 90% annovererà la corruzione dei politici tra i principali problemi del suo degrado. Anche in Italia funziona così, in fondo.
Una strada vien progettata con le migliori intenzioni, poi vien sospesa a lavori già iniziati, consegnata in appalto, magari dimenticata, oppure finita e..."fatta" crollare fatalmente.

Nella nostra attuale situazione, almeno, c'è una cosa a regalarci uno stupefacente diversivo da questi pensieri nefasti, ed è proprio il castello, che già da un centinaio di metri addietro l'ingresso a Bojnice lo vediamo svettare, non troppo, sulla collina del paese.
Ci sfila praticamente a fianco ed è automatico seguirlo con lo sguardo ipnotizzati, girando la testa al al ritmo della nostra macchina e il rischio di mancare eventuali indicazioni, nonché spetasciarci come mosche nei dehors dei ristoranti all'aperto.
Trovarsi così vicini ad un castello senza nemmeno averlo raggiunto di proposito è un'occasione più unica che rara, finora vissuta soltanto a Lohr Am Main, quando scorgemmo il castello di Grimilde, la matrigna di Biancaneve, in pieno centro!
Esaltati dalla scoperta, cerchiamo di frenare l'entusiasmo poiché prima è necessario parcheggiare, impresa possibile soltanto alla periferia della città, ove presenti stalli pubblici per disabili.
Ciò che dall'abitacolo mi balza all'occhio di Bojnice è lo stile italiano degli edifici, caratterizzati però, da una scelta cromatica particolare: il giallo. Le case sono gialle, la chiesa è gialla, il castello è giallino e a momenti perfino l'aria è gialla... fluttiamo, in pratica, dentro un tuorlo d'uovo.
Arrancando in salita lungo le vie principali, ringrazio Mina di mostrarmi da vicino questa sbalorditiva "giallitudine", immersa in un ambiente pulito ed ordinato.
Non sembra nemmeno di essere in terra slava, lo ammetto.
E anche il castello, che dall'alto domina il circondario, ha ben poco dei tipici manieri dell'est Europa grazie alle nicchie, ai tetti e alle sue torri a forma di cono azzurre, quasi dipinte da un bambino che ha appena ricevuto in dono una scatola di pastelli.
Benchè l'orario di apertura sia giunto al limite, saliamo lo stesso, optando per il sentiero a destra, in mezzo ad un bosco di alberi rigogliosi che oltre a lasciar intravedere la dimora, svela intorno un enorme parco adibito a zoo. E' il più antico della Slovacchia e sappiamo ospitare 350 specie di animali, o giù di lì. Nonostante il nutrito interesse per la fauna locale ci sproniamo solo all'esplorazione del castello, in ogni suo angolo, cortili annessi.

I venditori ambulanti fanno a gara ad accaparrarsi la nostra attenzione verso le loro bancarelle, dunque ci rendiamo conto di quanto Bojnice sia di fatto uno delle mete più visitate a livello nazionale e che al di là del prezioso monumento, insidi i turisti con la miriade di souvenir, cianfrusaglie e simpatici troll parlanti esposti...

Dacché siamo in Slovacchia mai ci è capitato di incrociare turisti cinesi, tedeschi e soprattutto francesi, come adesso. Forse qui sono presenti in "massa" per la forte attrazione che il castello esercita su di loro, assomigliando nell'estetica ai famosi castelli della Loira.
In effetti ricorda anche a me le Chateau de Sully-sur-Loire, con la sua pianta tozza e le torrette arrotondante, ma può darsi mi sbagli e che richiami maggiormente lo Schloss Neuschwanstein nel suo lato longilineo.
Mentre camminiamo intorno al castello fotografandone le mura tra le fronde ammiccanti di rugiada e flebili raggi di sole, ripercorriamo insieme la storia travagliata del Bojnicky Zamok, sotto una discutibile balconata in legno che ne designa le origini medievali, in aggiunta ad altre evidenti ricostruzioni di stampo gotico, rinascimentale e neogotico che donano al castello un aspetto fin troppo appariscente per colpire il cuore.

Al numero di stili corrispondono altrettanti proprietari; dall'ungherese Matthew III Csak, il quale lo ricevette nel 1302 dal re Ladislao V d'Ungheria, al re Mattia Corvino che lo lasciò in eredità al figlio illegittimo Giovanni Corvino. Nel 1528 il Bojnice Hrad passò nelle mani della famiglia Thurzo e dal 1646 in quelle della famiglia ungherese Palffy, la vera fortuna del maniero.
Jan Frantisek Palffy, infatti, ci risulta essere l'ultimo conte di Bojnice. Da gran viaggiatore qual era, un giorno si innamorò di una contessa francese, decidendo di suggellare il proprio amore non con un anello, bensì con la ristrutturazione del castello di Bojnice sull'immagine dei castelli della Loira. "Ogni cosa a suo tempo" recita il motto della dinastia. Insomma una gufata colossale visto come andarono le cose: i lavori durarono 22 anni e la frivola amata scappò con un altro uomo, trascinando il conte in una sorte di depressione finché morte lo colse 2 anni prima della fine del progetto. 
Nel 1939 i suoi lontani parenti vollero vendere "la pazzia" ad un'azienda privata! Nel 1945 i comunisti, facendo l'unica buona azione nella loro inutile esistenza, lo confiscarono, e nel 1950 in seguito ad un incendio lo Stato scelse di ricostruirlo secondo i desideri di Jan Palffy.
Nella condizione di follia in cui tutt'oggi si crogiola il castello decidiamo di visitarne i cortili, perchè si sa; dove c'è la follia ci siamo noi.
Da buona attrazione in suolo slovacco ci mostra un volto totalmente diverso rispetto alla facciata esterna, tronfia di fantastici elementi architettonici che convinsero i registi della nota miniserie Fantaghirò a riprendere qui alcune scene.
La solitudine è palpabile e a maggiorare quel vuoto prodotto dall'ampio patio in pietra e sabbia ci pensano delle impalcature che purtroppo ne limitano la visuale.

Double face, Bojnice.

Giocherelliamo sulle punte dei piedi guardandoci intorno, alla ricerca di un dettaglio memorabile, il succo delle nostre passioni, prima che il giro possa ritenersi concluso.
La telepatia che lega me e Mina ci porta a sorridere della grottesca idea che ci siamo fatti della Slovacchia, ma alla fine eccola la chicca proprio di fronte alla porta d'accesso dei tour guidati; una carrozza tutta nera, rifinita in oro.
E' una carrozza di quelle adoperate dalle contesse, tanto per intenderci, scenografica ed elegante, intagliata e adorna di angeli e puttini dall'aria sconsolata, quasi affranti. Li esaminiamo con attenzione, dentro un fermo immagine che va via via zoomandosi nei loro occhi, ed è abbastanza inquietante l'espressione che assumono.
Non sappiamo a chi fosse appartenuta la carrozza, né vogliamo saperlo ora, nel caso qualcuno di voi lettori ce lo voglia confidare.
Guardatela bene però, insieme a noi, stampandovela nella mente, perchè a volte c'è bisogno della platealità per scovare le minuzie più importanti.
Noi abbiamo il sospetto che questa carrozza tornerà a far parlare di sé, un domani, ma allora sarà tutta un'altra storia...


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